Presentazione
Due volti del sentimento umano si rispecchiano in questo incontro cameristico: l’oscurità febbrile di Schönberg e la luminosa vitalità di Dvořák. Entrambi scelgono la formazione del sestetto d’archi, spazio di intimità e verità, dove ogni voce si espone e dialoga. Ma se nel giovane Schönberg la notte diventa luogo di confessione e catarsi, in Dvořák la musica si apre come un canto collettivo, radicato nella terra e nella memoria. Nel 1899, poco più che ventenne, Arnold Schönberg compose Verklärte Nacht (“Notte trasfigurata”), ispirandosi a un poema di Richard Dehmel. In un bosco invernale, una donna confessa all’uomo che ama di portare in grembo il figlio di un altro; egli la perdona, e l’amore li redime. Schönberg traduce in suono questo dramma interiore con una tensione continua tra tonalità e dissonanza, in un arco unico suddiviso idealmente in cinque sezioni, come le strofe del poema. L’inizio, cupo e teso, in do minore, rappresenta la colpa; la sezione centrale, con il suo fluire inquieto di cromatismi, ne è la confessione; infine, il re maggiore della chiusa irradia una luce nuova, simbolo del perdono. È un poema sinfonico in forma cameristica, sospeso tra Wagner e Brahms, ma già rivolto a un linguaggio che annuncia la modernità. Schönberg non illustra il testo: lo interiorizza. La trasfigurazione non è solo dei protagonisti, ma della musica stessa.
Vent’anni prima, in tutt’altro clima, Antonín Dvořák aveva composto in due settimane il suo Sestetto per archi in la maggiore, op. 48. Era la primavera del 1878, e il compositore boemo godeva finalmente di un meritato successo europeo. Il sestetto nasce da quella felicità creativa: un equilibrio perfetto tra forma classica e ispirazione popolare, tra disciplina e spontaneità. Il primo movimento (Allegro moderato) si apre con un tema disteso e sereno, cui rispondono due idee più liriche; la scrittura, pur cameristica, possiede un respiro orchestrale. Il secondo movimento è una Dumka, forma tipicamente slava che alterna malinconia e danza, come un pensiero che non trova quiete; il terzo è un Furiant, vivace e spigoloso, che alterna ritmo ternario e binario in un turbine di energia; il finale, un Tema con variazioni, offre un saggio magistrale di costruzione: un tema semplice che si moltiplica in sei metamorfosi, fino alla corsa iridescente della chiusa. Accostare Schönberg e Dvořák significa mettere a confronto due visioni opposte del linguaggio cameristico di fine Ottocento. In Schönberg prevale l’indagine psicologica, la tensione interiore che cerca una forma nuova per esprimersi; in Dvořák, invece, la scrittura resta ancorata alla tradizione classica, ma si arricchisce di inflessioni popolari e di una vitalità collettiva. Verklärte Nacht si muove dall’oscurità verso la riconciliazione, costruendo un percorso emotivo unitario e concentrato; il Sestetto op. 48 sviluppa la forma come spazio di relazione, dove temi e ritmi si trasformano attraverso il dialogo strumentale. Due prospettive diverse verso una medesima verità: che ogni dolore, ogni gioia, ogni suono, può farsi trasfigurazione.